La frazione Panza possiede un proprio e caratteristico dialetto, il Panzese, diverso da quello del capoluogo e molto difficile da imitare caratterizzato dalla presenza di numerose voci di chiara origine greca, ma non mancano le voci latine, francesi, spagnole, portoghesi. Chi giunge per la prima volta sull’isola, noterà con molta facilità che i parlari più facili si riscontrano nella zona settentrionale dell’isola, Ischia, Casamicciola, Lacco Ameno, ci sono poi i parlari montani di Barano d’Ischia e di Serrara Fontana, che conservano ancora notevoli influenze del dialetto siciliano, facilmente riscontrabili in parole come bedda per bella oppure chiddu per quello. Per giungere infine ai parlari occidentali di Forio e di Panza appunto. Non occorre essere esperti glottologi per cogliere le caratteristiche di questo dialetto quali, per esempio,la scomparsa dell’articolo maschile singolare napoletano ò, sostituito, come del resto nel resto dell’isola, dall’articolo maschile ù, l’uso della “e” attica al posto della “a” dorica tipica di tutto il sud Italia, avremo, dunque, parlète per parlato, nzurète per nzurato cioè sposato, caratteristica comune anche al vicino dialetto foriano, dal quale, tuttavia si differenzia per la presenza ancor più massiccia della metafonesi, come per esempio nire e nare rispettivamente per nero e nera, l’allungamento delle vocali, in particolare e ed o che si allungano in ei ed au avremo perciò rauce per roce cioè croce oppure pallaune per pallone, per i dittonghi molto marcati, per la mancanza quasi assoluta del suono D sostituito invece dalla L, avremo limme per dimmi, lummaneche per domenica e così via. Anche la antica lingua dei greci d’Eubea è ancora viva come dimostrano i lemmi:
Skafareiè – scodella – skafe; Kufanature- vaso per bucato(eufonotos), dal dorso incurvato.
Occorrerà una buona conoscenza, invece, per notare la maggiore complessità che il dialetto panzese presenta rispetto al più noto dialetto napoletano poiché a differenza di quest’ultimo, distingue il participio passato, in maschile e femminile, per esempio per esprimere l’amme accattète ajere (l’abbiamo comprato ieri) e l’amme accattata ajere (l’abbiamo comprata ieri) il napoletano ricorre ad un’unica espressione e cioè l’avvimme accattata ajere. Analogo discorso potrebbe essere fatto per l’ articolo, dove il panzese mantiene come in italiano l’impostazione dualistica, conservando rispettivamente un articolo per il maschile e femminile plurale a differenza del napoletano dove tale differenziazione scompare esistendo il solo articolo plurale i. Facile rilevare le differenze col napoletano per esempio nella coniugazione del verbo avere in funzione di ausiliare:
PANZESE: Eve ho Tu he Is ha Nuie amme Vuie avite Ghiore hanno
NAPOLETANO: Ie aggio, Tu hai, Is ha, Nuie avimme, Vuie avite Llore hanno
Ancora più facile nella coniugazione del verbo sapere:
PANZESE: Eve soccio, Tu sèpe, Is sape, Nuie sapimme, Vuie sapite, Gghiore sapeno
NAPOLETANO: Ie saccio, Tu ssaie, Is sape, Nuie sapimme, Vuie sapite, Llore sapeno
Nell’ambito delle tradizioni popolari panzesi dobbiamo ricordare le UOVA ROSSE, preparate con le radici e i fusti sotterranei di una pianta chiamata in dialetto “à rove” (Rubia Tinctorum); le uova sono usate per confezionare piccoli cestini da regalare ad amici e parenti e per decorare le tavole imbandite durante le feste.
L’usanza di preparare uova colorate, ormai entrata a far parte della tradizione panzese, è di origine greca (ortodossa). Ad ogni modo, essa non fu importata dagli antichi Greci che approdarono nell’isola d’Ischia nell’VIII sec. a.C., ma giunse nell’isola molto tempo dopo, a causa di un triste evento che colpì gran parte del popolo greco verso la fine del XVIII secolo e in seguito al quale si costituì la minoranza greca presente nelle regioni meridionali dell’Italia.
Il giorno di Pasqua, in molte famiglie panzesi, ancora oggi c’è l’usanza di augurarsi buona Pasqua scambiandosi le uova tinte di rosso, rompendole all’augurio “Kristòs anèsti” al quale l’altro risponde “Alethòs anesti” ossia Cristo è risorto – Veramente è risorto. Ovviamente chi tra due manterrà integro l’uovo avrà fortuna per l’anno in corso.
Bisogna ricordare che il paese è stato nel tempo buen retiro di artisti e scrittori. Qui è passato Eugenio Montale giunto ad Ischia in torperdone, come dirà in una sua poesia Xenia, qui passò Stendhal, qui lo scrittore svedese Joakim Bergman ambienterà il suo romanzo Premio Nobel per un assassino?, dove il paese ha il nome di Campomoro, qui passerà Pasolini che scriverà nei suoi appunti: A Panza stanno preparando luminarie, archi di lampadine, tra le bicocche d’un paese senza villeggianti, beduino. Su ogni muretto c’è qualcuno che dorme, con facce da zingaro; amerà trascorrere intere giornate contemplando il mare da Punta Imperatore, che insieme a Punta Carena dell’isola di Capri chiudono il golfo di Napoli.